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    I Racconti del Mistero (Italian Edition) [Kindle Edition]
    MARIA PACE (Author)
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    E' una raccolta di avvincenti racconti incentrati sul mistero e l'arcano, con un finale aperto ad interpretazioni personali, ma soprattutto alla riflessione.
    Non tutti credono all'autentiticità di certi inquietanti fenomeni che la Scienza non può spiegare o che non é ancora in grado di spiegare. E non sono molti i libri di questo genere scritti da donne, la cui sensibilità, si ritiene, può riuscire più facilmente a penetrare nel "mistero".
    Maria Pace, autrice di questo libro, non crede al "paranormale", ma ha voluto cimentarsi con questo genere letterario per puro piacere e divertimento, ritenendolo creativo e stimolante come il genere fantasy.
    Che cos'é un enigma? O un mistero?
    E' un detto oscuro, spesso ambiguo, che sotto il velo delle parole nasconde una allegoria. Gli Antichi Saggi parlavano spesso di enigmi e di misteri, asserendo che fossero ciascuna delle verità incomprensibili per la mente umana, che bisognava accettare come verità.
    I racconti di questa raccolta, che celano il proprio "mistero" soltanto nel finale, affidando la soluzione alla fantasia del lettore, sono ora allegri, ora romantici, ora drammatici, ma sempre coinvolgenti e trascinanti.

     

     

     

      Testo Il Fascino del Mistero
      Authored by Maria Pace
      List Price: $7.99
      6" x 9" (15.24 x 22.86 cm)
      Black & White on White paper
      94 pages
      ISBN-13: 978-1502487261 (CreateSpace-Assigned)
      ISBN-10: 1502487268
      BISAC: Philosophy / Metaphysics
      E' una raccolta di avvincenti racconti incentrati sul mistero e l'arcano, con un finale aperto ad interpretazioni personali, ma soprattutto alla riflessione. 
      Non tutti credono all'autentiticità di certi inquietanti fenomeni che la Scienza non può spiegare o che non é ancora in grado di spiegare. E non sono molti i libri di questo genere scritti da donne, la cui sensibilità, si ritiene, può riuscire più facilmente a penetrare nel "mistero".
      Maria Pace, autrice di questo libro, non crede al "paranormale", ma ha voluto cimentarsi con questo genere letterario per puro piacere e divertimento, ritenendolo creativo e stimolante come il genere fantasy.
      Che cos'é un enigma? O un mistero? 
      E' un detto oscuro, spesso ambiguo, che sotto il velo delle parole nasconde una allegoria. Gli Antichi Saggi parlavano spesso di enigmi e di misteri, asserendo che fossero ciascuna delle verità incomprensibili per la mente umana, che bisognava accettare come verità. 
      I racconti di questa raccolta, che celano il proprio "mistero" soltanto nel finale, affidando la soluzione alla fantasia del lettore, sono ora allegri, ora romantici, ora drammatici, ma sempre coinvolgenti e trascinanti.

      LA PINNA

      Testo


      "Guarda che cosa ti ho portato, Fuffy."
      La donna avanzò ancheggiando verso la piscina dove Fuffy stava sguazzando. Fuffy non  era il nome di un cane, anche se con quel nome era facile cadere nell'equivoco; Fuffy era un omaccione grande e grosso dall'aria bonacciona.
      L'uomo si portò verso la donna, Laura, sua moglie, una signora sui quarant'anni, avvenente e sofisticata. A lunghe bracciate attraversò la piscina per raggiungere il bordo su  cui la donna si era fermata e da cui gli tendeva qualcosa.
      "Vieni a fare una nuotata? - la invitò - Con il nuovo impianto l'acqua è davvero rilassante."
      "Verrò più tardi. - rispose la donna aprendo la borsa - Ora verrà lui a farti compagnia."
      "Chi mi terrà compagnia?" chiese l'uomo.
      "Un pesciolino rosso che ho vinto al Luna-Park." rispose la donna; le unghie rosse ben curate fendettero l'aria mentre tendeva il sacchetto trasparente verso un braccio teso del marito.
      "Perché non lo metti in una vaschetta?"
      "Perché voglio provare a tenerlo qui."
      "Ma questo pesciolino non è adatto ad una vasca così grande."
      "Io sono sicura, invece, che ci starà bene. Quando ritorno vedremo... Per ora tenetevi compagnia."
      La donna si allontanò.
      L'uomo tornò ad immergersi, portandosi dietro il sacchetto; cinque o sei vigorose bracciate, poi si fermò, sollevò il sacchetto e lo rimirò attentamente: il pesciolino rosso guizzava grazioso nell'acqua.
      Un bagliore metallico passò nello sguardo dell'uomo, le labbra sottili si incresparono in un sorriso assai simile ad un ghigno. La sua espressione divenne crudele e cattiva.
      Lanciò in alto il sacchetto con un gridolino di piacere; così per tre o quattro volte, infine l'afferrò, sempre ridendo sguaiatamente. Pareva divertirsi molto, come in attesa di un piacere prossimo, che gli andò trasfigurando la faccia, rendendola quasi irriconoscibile.
      Lentamente, con gesti misurati, aprì il sacchetto e le dita penetrarono all'interno; il pesciolino guizzava veloce tentando di evitarle.
      Un'esclamazione trionfante e  l'uomo ebbe il pesciolino in mano. Lo passò subito nel palmo dell'altra mano, lasciando andare il sacchetto.
      "Ma come sei bello, pesciolino rosso! Tutto rosso, tutto giallo, tutto d'oro. E guarda queste pinne... sembrano d'argento... Sembrano ali di farfalla. Vediamo se sono  fragili come le ali di una farfalla."
      Una mano stretta a pugno intorno al pesciolimo, l'altra, pollice e indice congiunti, l'uomo disegnò nell'aria un cerchio, infine, con le dita strinse la piccola pinna come in una pinza e tirò forte.
      Il pesciolino si dibatteva freneticamente, boccheggiando penosamente.
      Ancora un colpo secco e la pinna, in parte asportata, rimase a penzolare sul fianco.
      Il pesciolino tornò a dibattersi disperatamente, nello sforzo immane quanto vano   di schizzar via da quella morsa inesorabile e spietata. Sembrò gonfiarsi.
      L'uomo rideva. Lo sentiva tra le dita piccolo e indifeso. Strinse più forte.
      Ebbe nuovamente l'impressione che il pesciolino  stesse gonfiandosi e questo lo divertì ancora di più. Strinse ancora un poco. Il pesciolino gonfiò ancora; l'uomo lo  sentiva incredibilmente gonfio nella mano, poi lo vide appallottolarsi e costringere le sue dita ad allargarsi.
      Lasciò la stretta.
      (continua)
      brano tratto dal libro

      LA FOTO DELLA SPOSA

      Testo
      LA FOTO DELLA SPOSA

      Lo studio fotografico di moda è sempre un posto affascinante e un po’ misterioso: splendide ragazze, aitanti giovanotti, lunatici artisti, profumi esotici. E’ un posto dove qualunque ragazza vorrebbe entrare una volta almeno nella vita per vedersi trasformare da anatroccolo in cigno. Miracoli di questo genere, in verità, non sono rari, mani esperte di massaggiatori, fantasie di visagisti, lampi geniali di stilisti e Cenerentola si trasforma in principessa. Col pennello fotografico, per l’appunto.

      L’atmosfera di quell’appartamento al terzo piano, con le tendine fiorate alle finestre, un telo dal colore pastello su una parete e un numero imprecisato di lampade, era davvero un po’ magica e misteriosa. C’erano un paio di modelle, unghia laccate di rosso, labbra color fuoco quasi incandescenti e occhi bistrati ed ammiccanti. Erano ragazze piene di fascino e brio, sicure di sé; abituate ad essere coccolate, vezzeggiate e perfino idolatrate. Alte e flessuose come giunchi, indossavano costumi da bagno dalle linee audaci e sexy, a due o ad un solo pezzo, come comandava l’ultima moda.

      Il fotografo, un ragazzo zazzeruto, in maglietta e jeans, imbracciava una potente macchina fotografica per professionisti; si inginocchiava, si alzava, si sdraiava, si rotolava per poter riprendere le ragazze in tutte le pose possibili.

      “Su, tesoro! – le incitava – Sei bellissima! Brava! Così! Ed ora una sferzata di rosso… rosso tentatore come le tue labbra… come quel copricostume rosso lacca su quel bikini bianco e nero… Sei irresistibile, tesoro. Irresistibile!”

      La modella, ubbidiente e docile, la pazienza è fondamentale in questo lavoro, “caricata” da quegli aggettivi, si infilò l’accappatoio e di nuovo mille pose, mille gesti, mille sguardi e mille sorrisi, per poi sceglierne solo due o tre. Intanto l’altra modella era pronta per iniziare; anche per lei le stesse parole:

      “Sei splendida, piccola!” Il fotografo scattò la prima foto. “Sei graffiante e provocante. E’ la tua estate e la vuoi vivere strabiliando la gente…Ci riuscirai. Brava! Ed ora scopri la spalla. Lentamente… lentamente… ho detto lentamente… maliziosamente! Brava! Sei bellissima e sexy…”

      E la ragazza, tra sorrisi ed ammiccamenti, in piedi, seduta o sdraiata, si lasciava riprendere con docilità. Poi di nuovo l’altra modella, poi insieme e così in avanti.

      Ogni tanto una pausa per aggiustare un ricciolo, portare all’obbedienza una ciocca ribelle, rifarsi il trucco, prendere un caffè o un succo di frutta e poi di nuovo. Per ore. Ad un ritmo massacrante, fino alla fine del servizio.

      (continua)

      brano tratto dal libro

      L'AFFRESCO

       


      L’AFFRESCO

       

       

      “Non ci sono per nessuno!"

      Letizia entrò nel soggiorno come una folata di vento e fece volare i libri sul divano. Alessandro, suo fratello, la guardò con il solito sorriso ironico: da qualche tempo sua sorella era diventata strana.
      “E’ soltanto l’età!” diceva spesso sua madre.
      Tutte le volte, cioè, che discuteva con il papà quell’insolito comportamento.
       aveva quindici anni e tutte le contraddizioni di quella splendida età ma, soprattutto,  aveva una fervida immaginazione che le permetteva di muoversi a piacimento nel tempo e nello spazio.
      La noia? Letizia non conosceva davvero il significato di questa parola. Dove trovare il tempo per annoiarsi dal momento che, deposto il peplo di Elena di Troia era pronta ad impugnare la spada della furente Crimilde? Oppure,  liberatasi dell’armatura dell’amazzone Kira, era pronta ad infilarsi nei jeans della ragazza-vampiro?
      E questo, almeno una volta al giorno; a seconda del libro che leggeva o del film che trasmettevano in televisione.
      In verità, le eroine con cui amava identificarsi  erano ragazze piuttosto attive e battagliere; pronte all’azione. Come lei!

      “Pirati dei Carabi” era il titolo del film che davano in televisione quel pomeriggio, ecco perché Gabriella “non c’era per nessuno”  e si ritirò in camera sua.
      Sistematasi sul letto, il televisore portatile ad angolo tra la finestra ed un vano adibito a libreria, la ragazza si lasciò subito rapire dalle prime stoccate dell’immancabile duello tra l’eroe e il cattivo. Naturalmente, la scaramuccia era stata ingaggiata per tirar fuori dai guai  Elizabeth, la bella protagonista del film.
      Sullo schermo l’immagine della ragazza dalla lunga, scomposta selva di capelli neri, si alternava alle stoccate delle spade che cozzavano e dei cimieri che ondeggiavano, coloratissimi.
      Nella grande specchiera ai piedi del letto, si specchiava il bel volto di Letizia che due occhi nerissimi e mobili, animavano vivacemente mentre viveva quell’avventura.
      In verità, per un paio di volte almeno avrebbe voluto trasferirsi sullo schermo e sostituirsi alla bella Elizabeth, soprattutto quando Jack, messo all’angolo dall’avversario, pareva davvero trovarsi in difficoltà.
      “Ma che cosa fai, lì, impalata? -  sbottò – Prendi un’asse, lì, per terra e dagli una bella botta in testa…Cosa aspetti a mandarlo a gambe levate, quello lì!”
      “Quello lì”, naturalmente, era l’avversario del suo Jack.
      Ma Jack non poteva soccombere ed eccolo, con un formidabile colpo di reni, liberarsi dell’avversario.
      Arrivò a questo punto l’intervallo pubblicitario.

      (continua)

      brano tratto dal libro

      QUEL POMERIGGIO AL PARCO

      Uno dei battenti del portone del Sant’Anna, l’ospedale ginecologico della città, si spinse in avanti e la ragazza ne uscì. Con passo veloce discese i tre gradini e si allontanò dietro l’angolo senza voltarsi nemmeno una volta.
      Era molto giovane: quindici o sedici anni, carina, un po’ pallida e una grande borsa in mano.
      Una macchina le andò incontro; ne discese una donna.
      “Sei già uscita? - la donna le tolse di mano la borsa con gesto premuroso – Arrivare prima è stato impossibile… Ma perché non hai aspettato in sala d’attesa?”
      “Non volevo restare un istante di più in quel luogo.”
      La ragazza prese posto sul sedile con gesto stanco, poi si lasciò andare sul poggiatesta; l’espressione del volto era un po’ triste.
      “Sei pentita?” fece l’altra.
      “Pentita?... No!” rispose la ragazza.
      “Credevo lo volessi, questo bambino, Luisella. Non ti capisco.”
      “Non c’è nulla da capire!”
      Luisella sistemò con cura quasi meticolosa le cose che le erano servite in clinica; il lembo di una camicia si ostinava ad uscire fuori e lei lo sistemò quasi con stizza. Era visibilmente nervosa.
      “Ormai… aspettavamo tutti Ornella.” riprese l’altra.
      “Ornella non arriverà mai. Non nascerà più. Non voglio un figlio senza padre. Non più!”
      “Ma…”
      “… e non voglio neanche più parlarne.”
      Il tono non ammetteva repliche e l’altra tacque.

      Estate di dieci anni dopo.
      Il parco del Valentino era verde e rigoglioso in quella stagione e un’arietta piacevolissima sfiorava il volto della giovane donna. Molti bambini, in bicicletta o dietro palloncini e più in là, ragazzi che giocavano a pallone: le loro grida erano piene di vita. Melodie mozartiane provenivano da altoparlanti collocati sui rami più alti di pini ed abeti collegati ad un apparecchio radio-trasmittente in sintonia con lo zampillio della fontana luminosa. Il carretto del gelataio quasi la sfiorò.
      Luisella si fermò, guardò l’uomo col camicione bianco, poi ordinò:
      “Crema e cioccolato”
      L’uomo del carretto riempì un cono, glielo porse e ritirò del denaro. Era un bel cono, invitante e colorato e Luisella fece l’atto di portarlo alle labbra, ma due occhini azzurri, sgranati sul suo gelato, la sorpresero.
      “Ehi, piccola. – disse – Vuoi un gelato?”
      La bambina non rispose, ma fece un cenno affermativo col capo e Luisella richiamò il gelataio.
      Era una gran bella bambina davvero. Occhi pungenti e nerissimi, nasino all’insù, espressione birichina e capelli alzati sulla sommità del capo in un nodo spiritoso; il sorriso era irresistibile.
      “Come ti chiami?” domandò la donna.
      “Desirée. Mi chiamo Desirée.”
      “Crema e cioccolato anche per Desirée, capo. – un sorriso stese le labbra della giovane – Per la nostra piccola Desirée.”
      La piccola ebbe il suo gelato.
      (continua)

      brano tratto dal libro